L’involtino primavera non esiste

Perché mettersi in testa di arrivare in Cina in sella ad un cinquantino? Questa domanda diretta da parte di un giornalista mi ha fatto riflettere come non avevo fatto finora, preso dalle mille cose da fare per organizzare un viaggio del genere.La risposta è semplice e naturale, a me piace viaggiare, e non occorre per forza una grande moto o attrezzature ed equipaggiamento di prim’ordine, ci vuole voglia di fare nuove esperienze, passione e determinazione. Il piacere di partire con un motorino l’ho provato nel precedente viaggio, quando ho raggiunto, insieme ad altri colleghi Vigili del Fuoco, Caponord. Con questa premessa vi racconto in queste poche righe l’avventura da me vissuta insieme al compagno di sempre, Emanuele Cruciani, con cui ho girovagato nel mondo in sella alle moto. Era il 2004 e appena tornati dalla mitica rupe volevamo fare un altro giretto in motorino, in quei giorni si parlava tanto della Cina, sia come potenza economica, sia come sede delle prossime olimpiadi, in un attimo le idee divennero appunti su di un fogliaccio, cartina alla mano si può fare. In molti presero la cosa come una sfida, noi come un’altra avventura da vivere nel migliore dei modi. Andando avanti con l’organizzazione ci scontrammo subito con la burocrazia di questi paesi difficili, ma la tenacia e la furbizia ebbe il sopravvento. Ai cinesi non piace che i turisti scorazzino da soli nel loro territorio, non è facile ottenere il permesso di entrare e guidare un mezzo nella Repubblica Popolare Cinese. Io e Manu abbiamo aggirato l’ostacolo, invece di essere due semplici turisti siamo diventati due Vigili del Fuoco che vanno a trovare i loro colleghi a Pechino, imbastiamo un gemellaggio, quindi attraverso dei documenti ufficiali riusciamo ad ottenere i visti per noi ed i permessi per i mezzi. Da cosa nasce cosa e attraverso alcuni sponsor racimoliamo dei fondi da devolvere all’UNICEF, in quanto ambasciatori portiamo con orgoglio sulla nostra divisa il loro logo. Naturalmente i cinesi ci scorteranno dalla frontiera mongola fino alla loro capitale, dove un gruppo di colleghi arriverà in volo, lì giocheremo una partita, abbiamo sfidato i cinesi nello sport che ci riesce meglio, il calcio.  La parte burocratica fa il suo corso, mentre per quella logistica ci arrangiamo con più facilità. Ritiriamo due fiammanti Piaggio Liberty 50 quattro tempi, con poche modifiche lo adattiamo alle nostre esigenze, sembra di tornare ragazzini a mettere le mani sui motorini. Il tragitto prevede di puntare verso Mosca, poi attraverso la Russia arrivare in Mongolia e scendere in direzione Pechino, sulla carta sembra tutto facile ma… Quello che oggigiorno frena i viaggiatori è la burocrazia, i cinesi ci chiedono il libretto di circolazione del mezzo, il motorino però non ne ha uno vero e proprio, non ci sono scritti né proprietario del mezzo nè numero di targa. Gli inviamo il contratto dell’assicurazione, spacciandolo come libretto, ci cascano e risolviamo. D’altronde come noi non conosciamo il cinese, loro ignorano l’italiano. Ai russi basta il telaio ed il colore del mezzo, i mongoli che sono una delle nazioni più pacifiche che conosco, la gestione dei permessi e delle dogane è tutta al femminile e sono incorruttibili. Riusciamo ad ottenere il permesso, ma lo dobbiamo ritirare di persona, insieme ai mezzi ad Ulaan-Baatar, la capitale, che dista 300 km circa dal confine. Questa sembra una condizione insuperabile, come ci arriviamo? Vagliamo l’ipotesi di partire e una volta arrivati al confine salire gli scooter su di un camion e arrivare alla capitale, oppure consegnare il mezzo a due mongoli, loro non hanno bisogno di permessi, e farceli riconsegnare dopo il confine. Tra le due soluzioni scegliamo la terza, ovvero il treno. Visto che abbiamo questa esigenza perché non salire sulla mitica Transiberiana, ci pensiamo un po’ perché potrebbe cozzare contro l’idea di un viaggio a due ruote, però non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, non siamo in cerca di record, vogliamo un’avventura. Quale miglior posto di questo epico treno, le cui carrozze sono frequentate da viaggiatori di tutto il mondo, saccopelisti, ciclisti e anche dalla popolazione locale, dovrebbe essere un bel mix di culture, razze e religioni. Non volevamo rinunciare al viaggio per un semplice pezzo di carta, viaggiare significa anche adattarsi, alle leggi, usi e costumi dei luoghi che attraversiamo, quindi cediamo alla variazione volentieri. La partenza del nostro viaggio-avventura avviene dalla piazza principale di Perugia, intervengono le massime autorità della regione Umbria, dopo la benedizione da parte del Vescovo sulle nostre teste e soprattutto sui mezzi, carichi come muli, brindiamo con i numerosi colleghi intervenuti insieme al comandante, li salutiamo con la promessa di rivederci a Pechino. Finchè siamo in Italia ci appoggiamo nelle caserme che troviamo lungo il percorso per vitto e alloggio, poi una volta varcato il confine improvvisiamo, anche il percorso, avevamo programmato di passare per Bratislava ma ci ritroviamo a Budapest. Il tempo a studiare le cartine mi è sembrato perso, non c’è cosa più bella che vivere alla giornata. Flagellati dal maltempo, siamo costretti a ricorrere alle buste di plastica come antipioggia, oltretutto i mezzi soffrono del carico e delle altitudini a cui li sottoponiamo, le salite dei Carpazi sembrano non finire mai, in qualche punto temo di dover scendere e spingere il motorino fino al passo.

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Il maltempo ci bagna e ci infreddolisce

Ricorriamo anche all’uso dell’autostrada, non prevista ma ci siamo persi, il casellante ci guarda esterrefatto, non capisce quale mezzo si cela sotto tutte quelle borse. Teniamo dei ritmi infernali, la carica accumulata dopo mesi di preparativi non ci fa sentire la fatica, arriviamo a Mosca con due giorni di anticipo e ne approfittiamo per fare i turisti.

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La strada per Mosca

Mosca è una città affascinante, piena di contraddizioni, ricca di storia e nonostante sia una capitale la vita, per noi europei, non è poi così cara. Come tutte le avventure che si rispettino arriva il fuori programma, Manu ha qualcosa che non va, tra vomito e diarrea è fuori uso, nei viaggi capitano questi scombussolamenti intestinali, lo sprono a stringere i denti, e le chiappe, fino a che non saliremo sul treno. Cominciano i problemi, non possiamo caricare gli scooter sul treno, nonostante abbiamo già pagato il loro biglietto, non attaccano un vagone merci, dalla porta di quello passeggeri non passano. Se fosse per me rinuncerei al treno e mi rimetterei in strada, ma con il mio compagno fuori uso non so come fare. Non possiamo neanche fermarci più di tanto, altrimenti ci scade il visto di permanenza in Russia, devo trovare una soluzione da solo, Manu è KO. Con un facchino lo carico su di un carrello e lo porto fino al marciapiede da dove partirà il treno tra alcune ore. Se prima avevamo possibilità di scelta ora no, devo trovare una soluzione per i mezzi, oppure far finire qui il viaggio. Esce fuori un treno merci che parte tra 4 o 5 giorni, però ora invece che bagaglio i motorini devono diventare dei pacchi. Con molta fatica, tra le difficoltà linguistiche e le trattative estenuanti, organizzo le casse, speriamo di ritrovarli in Mongolia. Con una corsa da collasso e carico come un mulo raggiungo il treno, Manu è sdraiato sulla panchina, non sembra migliorare, anzi… Dentro di me spero che si riprenda, ho con me le medicine, poi con un po’ di riposo e con del riso in bianco, magari del thè, mi vengono in mente tutte quelle soluzioni casalinghe. Mentre lui dorme nella sua cuccetta, io vado in esplorazione sul treno, mi bastano un paio d’ore per capire che non dovevamo perderlo. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, qui dentro si respira un’aria sovietica, quella vista nei film in bianco e nero. Scorrono le ore ed i km nell’immensa Russia, qui si perdono le concezioni di entrambi. Faccio amicizia con il personale del vagone ristorante e la sera bevo vodka e fumo i miei sigari mentre giochiamo con una specie di domino, parlo delle ore con tanta gente sconosciuta di tutte le nazionalità. Il mondo alle volte è tanto semplice. Manu peggiora, durante una sosta in una stazione, arrivano i dottori allertati via radio dal capotreno, quando li vedo salire con una cassetta degli attrezzi stile idraulico, capisco che Manu è meglio che si riprenda da solo. Temono che abbia un infezione, siamo nell’anno in cui si parla della SARS, gli faccio recitare la parte di “Lazzaro” e li convinco a non farlo scendere dal treno. Ricevo anche un SMS con cui apprendo che diventerò padre, quindi devo tornare sano, salvo e alla svelta. Il mio stato mentale subisce notevoli pressioni. Appena scesi nella capitale mongola lo ricovero in un ospedale, trascorrerà cinque giorni in un letto sudicio al costo di 550$, ma ne esce come nuovo. Cosa abbia avuto ancora è un mistero, aveva perso oltre 12kg in brevissimo tempo. Io mentre lo curavano non potevo fargli compagnia, così sono andato a risolvere la questione dei permessi, riesco a ritirarli, si accontentano della ricevuta di spedizione dei mezzi. Nel tempo che mi rimane nei giorni successivi girovago alla scoperta di questo meraviglioso popolo e terra. Passo dai monasteri buddisti al palazzetto della lotta, sport nazionale, qui se le danno davvero non come in TV, per finire musei, mercatini e feste in piazza. Manu esce dall’ospedale, i motorini arrivano come programmato, il viaggio riprende forti di un’ulteriore esperienza, la strada insegna molte cose. La Mongolia è una terra sconfinata, ora ci aspetta la parte più difficile del viaggio, attraversare il deserto del Gobi fino al confine cinese.

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Verso est

Le strade diventano piste, dapprima in terra battuta poi arriva la temuta sabbia. Incontriamo altri motociclisti loro sono in difficoltà più di noi, hanno il peso da gestire ma di potenza riescono ad uscirne, certo quando si appoggiano per terra la moto è pesante da tirare su. Noi invece quando ruotiamo il gas non succede nulla, cambia a malapena il rumore che esce dallo scarico, adottiamo una tecnica particolare, ci lanciamo sulla sabbia con la massima velocità che riusciamo ad ottenere e poi planiamo più lontano possibile aiutandoci con le gambe. Finita la spinta bisogna scendere e continuare accanto al nostro fidato motorino che tossisce, la sabbia non gli piace, poi la benzina di pessima qualità non aiuta i nostri 3,5 cv.

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Il riposo durante le tappe massacranti

In queste distese immagino come abbia scorrazzato Gengis Khan, il condottiero che creò il più grande impero della storia. Sono già due giorni che scorrazziamo, seguiamo le tracce, i binari della Transmongolica, così si chiama il troncone di treno che si stacca dalla Transiberiana e procede in direzione della Cina, poi al confine prende il nome di Transmanciuriana e gli vengono cambiate le ruote. Suona strano, ma i vagoni vengo sollevati e cambiata la meccanica, le rotaie cinesi hanno un passo differente, sono più strette. Veniamo spesso in contatto con la popolazione, i mongoli sono gentili e curiosi, appena siamo fermi chi passa fa lo stesso e si formano capannelli di gente ovunque.

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La folkloristica polizia mongola

Lungo il percorso non troviamo hotel o ristoranti, non avrebbero senso di esistere visto lo scarso traffico o la mancanza di turisti, alloggiamo e mangiamo dove capita, grazie all’ospitalità. Diamo anche la sensazione di essere fuori dal comune con due piccoli mezzi stracarichi, sudici, sono giorni che non ci laviamo e cambiamo, in sella a delle grandi enduro costose, equipaggiati come dei marziani, non avremmo fatto pena come in queste condizioni. Arriviamo al confine cinese sfiniti, abbiamo fatto anche 16 ore di sella con ammortizzatori inesistenti, sono giorni che non abbiamo un vero letto dove far riposare i muscoli intirizziti. Alla dogana ritroviamo l’asfalto, non sapevo se ce l’avremmo fatta ad arrivare fino qui, tanti viaggiatori salgono sul treno in questo pezzo e scendono nella capitale mongola, al contrario di noi. Con la differenza che noi abbiamo accorciato il viaggio con le ruote a terra, ma non ci siamo tirati indietro nel pezzo più duro: arrivare ad Ulaan Baatar è facile, a parte qualche buca, il difficile viene dopo. Il mezzo si è comportato benissimo, neanche una foratura, saremo stati bravi o fortunati? Lasciamo la Mongolia in un attimo, la nostra guida cinese ed i suoi scagnozzi ci prelevano, con una mancia otteniamo la patente, avrebbero voluto che facessimo una specie di esame, ma secondo noi non era necessario: se eravamo arrivati fino a lì, forse eravamo capaci di guidare! Il nostro approccio con questo popolo non è facile, un po’ perché siamo sempre osservati ed uno di loro prende appunti in continuazione, oltre alla difficoltà linguistica qui neanche i gesti più semplici ed internazionali aiutano. Veniamo sempre guardati esterrefatti e non otteniamo una risposta, neppure quando accavallettiamo il motorino davanti ad un pompa per fare rifornimento, anzi in questo caso siamo addirittura cacciati. Solo osservando gli altri “motorinisti” capiamo il meccanismo, bisogna infilare la pompa in un recipiente, poi andare verso il motorino che viene parcheggiato ai bordi dell’area di servizio, ed versare il contenuto nel serbatoio. Tutto questo per motivi di sicurezza, ma vedendo quanta benzina cade dagli imbuti improvvisati, non ne sono convinto. Finalmente mangiamo in un vero ristorante cinese, con grande sorpresa scopro che qui gli “involtini primavera” non esistono, sono un’altra invenzione del potente mercato cinese, era l’unica pietanza della cucina cinese che conoscevo.

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Il primo ristorante cinese

Per arrivare a Pechino bisogna attraversare un passo, pensavamo di fare qualche curva come succede da noi, invece facciamo solo fila, è un ingorgo lungo un centinaio di km. Potremmo anche svicolare con gli scooter ma non possiamo sorpassare la macchina con la nostra guida, quindi loro fanno la fila e noi lo stesso, con la differenza che loro se ne stanno seduti con l’aria condizionata, noi siamo in mezzo al calore dei mezzi, con un tasso di umidità insopportabile e con lo smog che fa bruciare la gola ed gli occhi. In mezzo a quest’inferno venditori ambulanti in sella a motorini stracarichi, che fanno sembrare i nostri ridicoli, soddisfano tutte le esigenze dei camionisti, ne approfittiamo anche noi per comprare dei Noodles, dei spaghetti liofilizzati dai gusti variegati. Riusciamo a sopravvivere ed usciamo da questa pazzia generata dall’uomo, alcuni di loro staranno fermi per giorni in attesa che il tutto si sblocchi.

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Fermi nel traffico cinese

Avevamo concordato un percorso, ma vediamo che non viene rispettato, chiediamo spiegazioni e ci dicono che noi stranieri non possiamo passare per quella strada, anzi siamo anche troppo vicini. Non so cosa nascondono ma ci vengono sequestrate le attrezzature video e fotografiche, inoltre gli scooter sono caricati sul furgone di scorta. Manu si arrabbia e prende la nostra guida per il collo, noto con piacere che gli sono tornate le forze, lo convinco a lasciare la presa prima che da giallo diventi bluastro. Quando riprende il fiato ci spiega che è per la nostra sicurezza, un’altra bugia come tante, in questa repubblica sono troppe le cose che nascondono al mondo. Secondo noi lui non è guida, ma un osservatore del governo, qui tutti sono spiati, capiamo perché i cinesi incontrati ci guardano senza dire una parola, sono spaventati. Riavremo i mezzi dopo alcuni km e proseguiamo come se nulla fosse, finalmente vediamo anche i primi segni distintivi della Cina: risaie a perdita d’occhio. Siamo a circa 80km da Pechino, non possiamo imboccare l’autostrada perché vietata alle due ruote, abbiamo capito le loro intenzioni, svicoliamo a lato delle sbarre e ci allontaniamo, almeno un tratto lo vogliamo fare. Dopo alcuni chilometri ci raggiungono e siamo costretti nuovamente a caricare i mezzi sul furgone, non ci ha fermato il deserto ma la burocrazia, per non chiamarla in altri modi. A Pechino i mezzi vengono di nuovo scesi, dobbiamo fare una specie di parata organizzata dal Ministero del Turismo, entriamo festeggiati dalle autorità locali, i colleghi italiani e cinesi, la stampa e la tv, come se nulla fosse successo. La nostra delusione per il trattamento da ostaggi ricevuto passa in secondo piano una volta circondati da i nostri cari, amici e colleghi. Ora ci aspetta il gemellaggio ufficiale con i colleghi, la partita a pallone ed una settimana a spasso, come un gruppo di turisti qualsiasi, tra le meraviglie di questa città e loro cultura. Per la cronaca il risultato è stato 7 a 3, noi volevamo fare un amichevole, loro si sono presentati con la squadra militare olimpionica, non gli piace perdere, sono sportivi quanto sono democratici.
Per chi vuole leggere la storia completa attraverso il libro Perugia Pechino in motorino

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Il percorso

 

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