Il nome Africa fa venire subito alla mente scenari avventurosi e difficoltosi ma la Tunisia, che è una delle porte di questo affascinante continente, è alla portata di tutti. Il nome Africa ha origine dai romani che trovarono nel Nord una tribù berbera che si chiamava “Afri”,da qui Africa che significa “terra degli Afri”. Tale nome si espanse insieme alle conquiste romane e fini per indicare tutto il continente. Veloce da raggiungere, attraverso i numerosi collegamenti marittimi presenti sulla nostra penisola, da nord a sud trovate una compagnia di navigazione che vi sbarcherà, al massimo in 24/36 ore, in Africa. Questo la rende ideale per chi non dispone di lunghi periodi di vacanza. Economica, i costi dei traghetti sono abbordabili anche opzionando una cabina, io preferisco il più popolare passaggio ponte, così si entra già in contatto con i tunisini che tornano verso casa. La media giornaliera per vitto e alloggio si aggira sui 30€, la benzina costa meno della metà che da noi. Facile da affrontare, in pochi semplici passaggi si ottiene il permesso di soggiornare nel paese a cavallo della nostra due ruote. Le numerose strutture accolgono volentieri i motociclisti, le strade sono alla portata di qualsiasi “manetta”. Veloce, economica e facile, quindi alla portata di tutti, l’ideale per “iniziare” una neo motociclista ad un viaggio, per di più in Africa. Con queste premesse la mia compagna Elena mi chiede di portarla in Tunisia. Scegliamo il periodo delle feste natalizie, la bassa stagione ci permetterà di non trovare la ressa, il clima con un po’ di fortuna sarà simile alla nostra primavera. Con un paio di “click” prenotiamo il traghetto ed è fatta. Le moto non necessitano di alcuna preparazione particolare, la normale manutenzione prima di partire è sufficiente. Per chi non ha mai preso un traghetto il primo impatto può essere scioccante, un’orda di tunisini con macchine stracariche sono assembrati davanti al cancello, il tutto in modo disordinato, si crea un ingorgo gigante che mette subito a dura prova, la prima da superare per conquistare il continente nero. Le moto le fanno sempre passare avanti, e sono le prime a salire quando la nave spalanca la porta, ogni tanto un privilegio come categoria lo abbiamo. Tutti motociclisti si ritrovano in prima fila, qui si comincia a fare conoscenza, da veri biker ci si aiuta a vicenda nel sistemare e legare le moto a bordo; per chi non lo ha mai fatto può sembrare complicata la faccenda delle cinghie che fissano la moto nella stiva della nave. Elena con la sua Lumy, così e soprannominata la sua BMW GS800 (diminutivo di lumachina per via della sua andatura), trova subito tanti maschietti ad assisterla, essere donna aiuta molto in questi frangenti. Visto il periodo festivo, la fratellanza continua a bordo, chi ha con se un panettone, chi una bottiglia di spumante, ci si ritrova per un brindisi intorno ad una cartina della Tunisia aperta. Ognuno con i suoi itinerari, ognuno con i suoi consigli. Il gruppo formatosi spontaneamente, supera la noia della navigazione tra racconti e risate. Lo sbarco avviene tra colpi di clacson e sgassate, i tunisini fremono per tornare a casa, noi abbiamo un vantaggio come stranieri per entrare in questo splendido paese, bastano due timbri ed una stretta di mano. La nave è salpata da Civitavecchia 3 ore dopo il previsto, allo scalo siciliano ha fatto lo stesso, il ritardo accumulato ci costringe subito ad una variante di programma, pernottiamo nella capitale. Il mattino seguente la pioggia battente ci ricorda in che stagione siamo, cerchiamo di uscire dal groviglio di strade di Tunisi, con il traffico impazzito riusciamo ad imboccare la grande strada a quattro corsie che ci porterà a sud. Ma la nostra sensazione di libertà dura poco. Io nei miei viaggi sono abituato allo stile di guida variegato che s’incontra in questi paesi, Elena ancora si meraviglia quando incontra qualcuno contromano, ma qui, tutti viaggiano al contrario, eppure noi stiamo andando nel verso giusto … ci deve essere qualcosa che non va! La superstrada è allagata, tutti invertono la direzione di marcia fregandosene di chi sopraggiunge, sento Elena che mi chiede istruzioni sul da farsi attraverso l’interfono: dobbiamo rigirare anche noi e trovare contromano l’uscita di questa strada? Come scudo usiamo un furgone che ci apre la strada, con lui arriviamo fino alla rotonda che conduce ad una strada alternativa, imbocchiamo contromano anche quella. Dietro la collina ci attende un vento che ci costringe a guidare in maniera trasversale, la temperatura precipita fino a 6°, Elena non si lamenta, sento solamente qualche urlo quando le folate più forti spostano la moto. Il primo pasto lo consumiamo lungo strada, ci fermiamo per una grillade. Cosi si chiamano quei barbecue fumanti dove ci sono pezzi di carne penzolanti pronti per essere cucinati, mentre altre pecore sono legate lì vicino, in attesa di fare la stessa fine. Le condizioni igieniche non sono delle migliori, ma anche in questo frangente la “novella” deve superare la prova. Causa lavori l’asfalto finisce, l’andatura sullo sterrato diminuisce, sono le prime volte che Elena sente la moto galleggiare sul pietrisco fine, la vedo dallo specchietto che procede con molta attenzione, cerco d’incoraggiarla. Per finire ci troviamo davanti a circa trecento metri di fango alto una decina di centimetri, la faccio fermare mentre io vado avanti a sondare il terreno. La gomma sprofonda nel viscido, l’aderenza è al minimo, questo è il terreno dove assolutamente non portare un principiante, ma dobbiamo per forza passare di qui. La vedo procedere con i piedi a terra, scava due piccoli solchi, niente in confronto a quelli dove ha infilato la ruota, ora con la prima marcia cerca di avanzare, la moto si spegne più volte. Le macchine le passano accanto ondeggiando mentre cercano il grip, alla fine di questo percorso di guerra perde l’appoggio sul piede e cade. Il battesimo della terra è avvenuto, le corro incontro per aiutarla, la prima cosa che mi chiede è una foto, ha preso la cosa con lo spirito giusto. Insieme rialziamo la moto, la Lumy è tutta infangata ma intatta, Elena si rimette in sella e la porta fuori dal pantano. Tra pioggia e vento decidiamo di saltare la visita al sito di Dougga, una città romana tra le meglio conservate, che fa parte del patrimonio dell’UNESCO, e che riesce a dare un’idea di come vivevano. Con un po’ di rammarico per la rinuncia giungiamo a Le Kef stremati dal freddo. Come primo giorno poteva andare meglio; in albergo cambiamo il percorso, vista la pioggia che è caduta decidiamo di non salire sull’altopiano chiamato “La Tavola di Jugurta”; con queste condizioni meteo non si riuscirebbe neanche a fare le foto e la strada potrebbe non essere adatta ad Elena. Andremo direttamente a Sbeitla, dove passeremo l’ultimo dell’anno tra le rovine romane. Anche oggi siamo costretti a tenere con forza le moto, il vento ci schiaffeggia violentemente, ma con perseveranza arriviamo al sito. Il nostro albergo è accanto allo stesso, dal terrazzo possiamo già ammirare i templi romani e l’estensione delle rovine. Passiamo tre ore passeggiando nella storia, per poi vedere tramontare il sole e riuscire ad immortalare degli splendidi colori. Il nostre cenone di capodanno inizia alle 19, alle 20 è già finito, per aspettare la mezzanotte e stappare la nostra bottiglia di prosecco, ci colleghiamo ad internet e riusciamo ad ammazzare il tempo. Anno nuovo, clima nuovo. Scendiamo a sud fino a Tozeur, la prima delle città turistiche, si vedono le prime carovane di 4×4 tutte attrezzate per sfidare il deserto, ristoranti ed alberghi, ovunque. Una delle abitudini di queste città è quella di costruire la zona turistica, una specie di ghetto dove tutti gli stranieri vengono indirizzati, qui si trovano alloggi all’europea, abitudini comprese, qui non sono banditi gli alcolici. Ritroviamo il gruppo di motociclisti incontrato sul traghetto, loro hanno fatto il giro dalla parte opposta trovando bel tempo, la fortuna è una componente fondamentale nei viaggi. Il programma prevede di far assaggiare le piste alla Lumy, cominciamo con un po’ deserto lungo la strada per Tamerza, con la scusa di fare delle foto la convinco ad abbandonare l’asfalto e sentire l’effetto che fa poggiare le gomme su questo terreno soffice. Gli piace e sembra meno difficile del previsto, il problema della sabbia è che cambia consistenza metro dopo metro, trovarsi in difficoltà è un attimo. A Tamerza andiamo a visitare la gola che conduce alle cascate. Dopo pranzo tocca alla famosa “Pista Rommel”. Questa pista ha fu costruita durante la seconda guerra mondiale, su ordine del generale Rommel, detto anche “la volpe del deserto”, per sfuggire all’accerchiamento delle forze alleate e superare le montagne. L’ingresso avviene attraverso la discarica di Redeyef, per arrivarci occorre un gps con le coordinate o un aiuto locale, oltre ad un fazzoletto per cercare di coprire la bocca ed il naso. Il primo tratto è una specie mulattiera, in discesa, sulla destra c’è un burrone. Elena si ferma, cerca di trovare il coraggio per partire, io le ripeto le poche nozioni di fuoristrada che conosco, poi vado in avanscoperta per capire come prosegue questo sentiero. Mi fermo al primo spazio disponibile, poi torno indietro a piedi per assistere la mia compagna. Vedo i suoi occhi terrorizzati dietro la maschera, le ripeto che non è difficile ed alla sua portata, l’importante è che molli i freni e lasci scivolare la moto seguendo le mie tracce. Si fida e lo fa, arriva accanto alla mia moto e la spegne. Ora vedo gli occhi felici dietro la maschera, ce la fatta! La vista davanti a noi è di quelle da non scordare mai, da questo punto si riesce a vedere fino a Chott el Jerid. Riusciamo a sentire il rumore del silenzio.
Scattiamo alcune foto, poi il silenzio viene interrotto da un simpatico vecchietto in sella ad un Motobecane che potrebbe essere stato il suo mezzo da giovane viste le condizioni in cui è ridotto; scende dalla pista come nulla fosse, mentre noi con le nostre super moto siamo timorosi. Ora è Elena che mi chiede di continuare, ci ha preso gusto, ripartiamo è troviamo la parte più semplice, quella rivestita dalle lastre di cemento. La pista sale e scende velocemente, sembra di essere sulle montagne russe. In un tratto pianeggiante le lastre hanno parzialmente ceduto, io m’infilo per errore in un solco in contropendenza, con esperienza riesco ad uscirne. Elena che mi segue ciecamente ne esce in modo sbagliato. Nel dare gas per superare l’ostacolo, la moto dapprima s’intraversa per poi impennarsi, lei viene disarcionata, la moto si rovescia. Io dallo specchietto vedo una nuvoletta di polvere, capisco l’accaduto e mi precipito da lei. Quando arrivo la trovo già aggrappata alla moto nel tentativo di tirarla su. La rimettiamo sul cavalletto e mi preoccupo che lei non si sia fatta male, mi sorride dicendo di essere a posto, ma io che la conosco so che bara. La moto è un po’malconcia, il manubrio si è storto, il cupolino è spaccato da cima a fondo. Il primo mi preoccupa, il secondo con del nastro americano si sistema. Ora dobbiamo solo pensare ad arrivare a valle e trovare la strada asfaltata, il sole sta tramontando e trovarsi quassù al buio ed in difficoltà non dovrebbe essere piacevole. Purtroppo con il manubrio storto non riesce a curvare a sinistra, forse si è anche impaurita, procediamo a rilento, rientriamo a Tozeur al buio. Quando sfila il guanto il pollice destro è molto gonfio, si spalma una pomata e spera nel miracolo. E’ felice di aver fatto la pista, addirittura con il manubrio piegato, ma è stremata, ora un piatto di Cous-Cous ed una bella dormita la rimetteranno in sesto, alla moto penseremo domani mattina. Nel nostro albergo ci sono dei lavori in corso, mi procuro dai muratori un martello ed un pezzo di legno per cercare di raddrizzare il manubrio. Prima mi si rompe il legno, poi il martello … desisto. Cambio strategia, smonto un supporto del manubrio e lo giro, ora non sarà dritto come da nuovo ma cammina meglio. Il parabrezza lo fisso come previsto con il nastro, il pollice guarirà. Oggi attraverseremo un altro simbolo della Tunisia, Chott El Jerid, un lago salato tagliato in due da una striscia d’asfalto. Il Chott offre panorami mozzafiato e splendidi scenari per foto indimenticabili. Per la notte facciamo tappa a Douz, la porta del deserto per i turisti, da qui i più temerari s’inoltrano nel Grande Erg e arrivano a Ksar Ghilane. Noi cerchiamo una sistemazione nella Medina, la città vecchia, ma non riusciamo a trovare un posto dove sistemare le moto e siamo costretti a ricorrere alla “zone turistique”. Anche noi vogliamo mettere le ruote sul Grande Erg, ci arriveremo attraverso la strada asfaltata che costeggia l’oleodotto. La nostra sarà una toccata e fuga, non dormiremo nel grande camping situato nell’oasi, non è stagione, la notte è ancora fredda. Oggi arrivare all’oasi è alla portata di tutti con qualsiasi mezzo, una volta bisognava percorrere un centinaio di km di pista. Una volta arrivati ci troviamo all’interno di un oasi su misura per il turista, tende a 5 stelle con acqua calda e bagno annesso, ristorante con aria condizionata o tavoli all’aperto a bordo della pozza d’acqua termale. I quad a noleggio sono ovunque, anche noi ne approfittiamo, e grazie a questi, riusciamo a raggiungere i resti di un forte di epoca romana nel cuore del deserto. Una volta tornati alle moto ripartiamo, non abbiamo un’idea precisa di dove fermarci, andiamo avanti fino al tramonto. Durante una sosta per delle foto panoramiche vengo incuriosito da una torre restaurata, mi avvicino e comincio a parlare con ragazzo che sta seduto ai suoi piedi. Una volta entrato mi rendo conto si tratta di un complesso nuovo sviluppato intorno a questa vecchia torre di avvistamento, e sullo stesso stile sono state ricavate delle camere da letto in pietra nel terrapieno sottostante. Ci piace e ci fermiamo; per la cena andremo al ristorante del piccolo paese che dista 1 km circa. La camera è veramente in pietra, letto e mobili compresi. Il ragazzo ci accompagna al ristorante, situato accanto alla moschea, per arrivarci dobbiamo percorrere numerosi scalini. Naturalmente siamo gli unici clienti, e nel parlare con il padrone veniamo a sapere che è anche il custode del museo berbero. Con una mancia, appena finito di cenare, lo apre appositamente per noi. Si dimostra anche un’ottima guida e ci fornisce uno stupendo spaccato sulla vita di questo popolo con aneddoti e spiegazioni. Neanche programmandola saremmo riusciti ad organizzare una serata così stupenda. Oggi una nuova prova attende Elena, ci addentreremo nella montagna che si vede sullo sfondo di questo paesaggio da cartolina, attraverso una pista, e la valicheremo per arrivare nella zona degli “Ksour”. Gli Ksour sono dei granai fortificati, che servivano a proteggere il prezioso raccolto dalle intemperie e dai malintenzionati. Sono stati costruiti dai Berberi ed ogni “Gharfa”, cosi si chiama ognuna delle stanze in cui sono suddivisi, apparteneva ad un famiglia. Sono diventati famosi più perché sono stati il set di “Guerre Stellari”, che per la loro bellezza e il loro stato di conservazione.
Una volta abbandonato l’asfalto la strada comincia ad arrampicarsi, si stringe e le condizioni peggiorano, Elena supera il timore iniziale e si arrampica come una provetta endurista. Viaggiamo alla media di 15km/h, per riprenderci dalla fatica ci facciamo un caffè in cima al passo con vista sul deserto. La discesa è più facile, sarà la voglia di arrivare nuovamente sulla rilassante striscia di bitume. Una volta giunti a Ksar Ouled Soltane, lo Ksar più grande e famoso, ci soffermiamo all’interno dello stesso con le moto, si trova in stato di abbandono e dove una volta riponevano il grano ora si trova immondizia. Siamo al giro di boa, da cominciamo la risalita verso nord, il viaggio sta volgendo al termine. Sembra che il vento ci aspetti, come all’andata ci costringe a viaggiare inclinati, talmente forte che non permette neanche di fermarsi. Come conclusione veniamo investiti da una tempesta di sabbia, in queste condizioni meteo troviamo riparo nell’imponente anfiteatro di El Jem, siamo costretti a tenere indosso il casco per via della sabbia che ci viene sbattuta in faccia dalle folate di vento. El Jem è un colosseo da oltre 30.000 posti, il terzo in ordine di dimensioni nell’impero romano, dichiarato patrimonio dell’UNESCO, è uno dei segni dell’introduzione della civiltà romana in Africa. Teniamo duro e cerchiamo di raggiungere la costa nella speranza che lì il vento sia meno forte. Arriviamo nella tranquilla città balneare di Mahdia, sembra di essere un trentennio indietro, il tempo si è fermato, il vento no. Siamo barricati in una vecchia pensione, le persiane vengono sbattute violentemente, il vento ulula nella scale, sembra infiltrarsi ovunque, le moto sono al riparo nel porticato, sempre che non decolli. La notte passa, così come la tempesta, abbiamo dormito con un occhio chiuso ed uno aperto, ci rimettiamo in viaggio in direzione di Kairouan, passando per Monastir, dove troviamo i bus con le flotte di turisti, quindi dopo un veloce giro ed una breve sosta ce ne andiamo. Kairouan è la quarta città santa per l’islam per via della presenza della grande Moschea, che è la più antica del Nord Africa. La moschea si trova all’ interno di una bella medina, poco turistica, con splendide viuzze in cui è facile perdersi. Questa città è famosa anche per la produzione di tappeti, è impossibile riuscire ad evitare una dimostrazione dei loro manufatti da parte degli abili venditori, prima o poi vi ritroverete in un negozio con un bicchiere di the in mano ad osservare questo cerimoniale. Recuperiamo il sonno della notte passata in un delizioso albergo nei pressi dell’ingresso della medina, nonostante il rumore provocato da decine di tunisini che si scolano birre nella hall; infatti essendo un albergo per stranieri ha la licenza per gli alcolici e quindi quelli un po’meno ligi alla religione ne approfittano. Per non arrivare dritti a Tunisi facciamo il periplo di Capo Bon, passando per la deserta Hammamet, con alti e bassi del tempo. In attesa del traghetto visitiamo la Medina della capitale, qui è un dedalo di vicoli con tante cianfrusaglie per turisti, qualche nave da crociera vi fa tappa. Nel nostro girovagare ci perdiamo, e ne siamo contenti, ci ritroviamo nella parte dove i locali fanno le loro spese; veniamo ospitati dentro un negozio in attesa che il temporale, che ci ha colti all’improvviso, passi. Tunisi, nonostante il brutto momento che ha passato di recente (mostra ancora i segni della rivolta), è una città viva, con numerosi locali e giovani che passeggiano. Ci presentiamo all’imbarco con la consapevolezza che il viaggio è finito, Elena ha vissuto la sua avventura, ha arricchito la sua esperienza motociclistica e personale. L’Africa le ha lasciato il segno, non solo sulla moto, e, superati gli indugi e le paure, vuole ritornare: sono i primi sintomi del famoso male! Il portellone si chiude ed ora con un giorno di mare verremo cullati fino a casa.
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